Dipingo, disegno, sporco tutto quello che trovo in casa, faccio confusione, uso tutto quello che mi capita, non ho nessuna regola non voglio regole e non ho bisogno di procedure, riuso le tele se non le vendo, amo i miei quadri ma li detesto nello stesso tempo, mi manca sempre il tempo, odio le imposizioni i consiglie e i complimenti mi mettono a disagio.
Vendo tutto non mi affeziono a niente, vendo per campare come tutti
ogni tanto regalo, ma lì e' una questione di prezzo.
VENTI VENTI surrealismo virale
Pubblicato il 20 ottobre 2020 di SGRmusiche
TRA TEMPO E LUCE
Samuele Venturin al 4quARTI di Firenze con VentiVenti
Partiamo dal titolo della mostra, a prima vista sibillino: innanzitutto quel “venti venti” (2020), che potrebbe quantificare la risposta del ventaglio al curioso pope di Tanfucio (Chiese al ventaglio un dotto archimandrita: -Dimmi, ventaglio, che cos’è la vita?- E il ventaglio, con molle ondeggiamento: -È vento, vento, vento, vento -, Renato Fucini, Sopra un ventaglio). Ma anche tradurre quello che in cifre è l’anno in corso, che ci ha regalato ciò che qui sarebbe vano ri-petere, ri-petàre, ri-partire… Al quale pare alludere anche quel ‘virale’ abbinato al surrealismo: sovente invocato e abusato, tale storico movimento, a commento delle visioni in periodo di allucchettamento e perlopiù riferito alle nostre deserte e silenti città. Ma, come ebbe a notare nelle sue Inscriptions Louis Scutenaire: “Se la personalità esiste, non si può semplicemente essere surrealista. Si può solo essere il surrealista di un altro”. Diagnosi che sembra formulata apposta per il Samuele Venturin pittore, surrealista per conto del Samuele Venturin musicista o dei suoi eteronimi: Amilcare Tellacci e Tonio Manasca. Quest’ultimo autore di Senza parole, album datato Venti Venti che, guarda caso, si presenta dal vivo proprio all’inaugurazione della mostra al 4quARTI.
La quale ha come elementi di forza i nuovi lavori elaborati dal locdaun in poi. Si tratta di una serie di composizioni a prima vista quasi astratte ma che, a guardar meglio, si rivelano assemblaggi di membra umane, anatomie guardate da un oblò di lavatrice; forse corpi inscatolati nella speranza di evitare contagi, organismi rientrati nei propri gusci, zippàti nel terrore. O più semplicemente nostre proiezioni che il covid ha reso contorsioniste fatte entrare in valigie, nella speranza di un futuro “rigatino” che le liberi dal Grand Hotel Quarantena senza pagarne il conto: delle “variazioni sul tema”.
A tal proposito sarebbe opportuno disquisire sui rapporti intercorrenti tra l’arte del nostro in campo sonoro e in quello visivo: indagine pretenziosa e fuorviante, quindi sommamente attraente. Buon motivo per risparmiarcela. Non esimendoci però dal notare, en passant, il fatto che sono campi difficilmente riscontrabili in una sola personalità (forse il solo Savinio presenta delle analogie col caso nostro), pur avendo a che fare con elementi fondanti quale il tempo, per la musica, e lo spazio, per la pittura: forse questa disegna nello spazio ciò che la musica disegna nel tempo. A voler forzare, grazie alla luce e alla sua velocità si possono misurare sia distanze spaziali che temporali, per stabilire magari quanti secoli impiega una stella a farci arrivare il proprio bagliore.
Ora il Venturin, che non solo è compositore, ma anche poliedrico cantautore e jazzista, esploratore di repertori popolari e sperimentatore elettronico ecc., nonché polistrumentista, versato e virtuoso bassista, fisarmonicista, tastierista ecc., non dispiega ovviamente la medesima versatilità in campo figurale ma, almeno a livello inconscio -ed ecco qui il surrealista conto terzi- ne utilizza i modelli creativi con inconsueta abilità: traducendo ritmi e melodie, flussi armonici e arrangiamenti, in campiture paratattiche, in accordi cromatici, in vibrazioni emotive. Spesso tra “panico e sbadigli”, come si sottotitolava Camaleonte, la sua personale dell’anno scorso, a indicare due strati profondi del proprio operare: paura e dormiveglia, anche questi elementi basilari della ‘tecnica’ bretoniana.
Non meravigli quindi se nei quadri di Samuele Venturin certe figure ricorrenti, siano esse nudi, ritratti, perfino paesaggi quasi astratti, acquistino spessore di simboli, visionaria araldica di quello che non si può esprimere nell’idioma della cosiddetta comunicazione, specie se di massa. Senza parole, appunto: poesia di tempo e luce.
Fabio Norcini
Samuele Venturin – Venti Venti – Surrealismo Virale
4quARTI, via G.L. Spontini, 47 – Firenze
dal 25/10/2020 al 25/1/2021
SAMUELE VENTURIN: QUANDO LA MOSTRUOSITÀ DEL REALE PRODUCE POESIA
Pubblicato il 25 ottobre 2019 di SGRmusiche
Non so se siano state mere coincidenze, che non sono mai tali, quelle che mi hanno portato a conoscere Samuele Venturin, i cui universi artistici mi hanno subito conquistato, sia quelli musicali che quelli pittorici; e sono lieto di essere il primo a organizzargli una mostra personale che credo costituirà per molti una vera scoperta: di un linguaggio visivo tanto deciso e al contempo delicato, ma soprattutto originale. La tentazione di confrontare i due ambiti, i travasi di creatività dal tempo della musica allo spazio dell’immagine, è forte, ma non è questa la sede adatta: lasciamo ai visitatori tale compito anche perché in seno alla mostra avranno luogo quattro concerti diversi a cadenza settimanale nei quali Venturin darà un saggio delle sue “camaleontiche” doti di compositore e strumentista. Perché il nostro è appunto camaleonte, come recita il titolo della mostra, in specie quando suona, si può dire ogni strumento, dalla fisarmonica a chitarra, basso, tastiere, percussioni, quasi un Pessoa del pentagramma i cui eteronimi sono Tonio Manasca, Motociclica Tellacci, Za, Australopitechi, ognuno di questi un progetto musicale distinto che svaria dal jazz alla canzone d’autore, dal folk al rock, alla ricerca elettronica e ambient eccetera.
Per tornare alla mostra, il pezzo forte, è costituito da un polittico formato da venti quadri, tessere monocrome di un mosaico complesso; macchina per esorcizzare la paura con un afflato quasi da goyesca litografia al nero, solo che qui nettezza e lividume sono tradotti in colori dominanti e spesso complementari: rosso, azzurro, verde, arancio, marrone.
Tratto deciso e gesto sicuro il nostro opera per diagonali e intersezioni esatte, ribaltando l’astratto nel figurativo e viceversa. Così nudi di donna, incinta o discinta, che possono trasformarsi in verdastri corpi sdraiati in mantegnesca prospettiva oppure in un diabolico ermafrodito; ritratti riflessi in specchi frantumati o con occhi che gocciolano fuori dalle teste o che le bucano ai lati in angoli acuti, mani che si aggrappano al niente; folgori e paesaggi dove la linea dell’orizzonte diviene un ipotetico appoggio per incerti bersagli. Un tentativo di chiudere fuori il buio, il panico cui allude un polo dell’alternativa del sottotitolo, per cedere agli sbadigli, antecedenti il sonno, cui rimanda l’altro. Perché la notte arriva con puntualità inesorabile, precisa come una tristezza. Tale notturnità che pervade il suo fare pittorico, quasi fosse un’attesa del totale insediamento della luna, gli permette di sfuggire a qualsiasi categorizzazione: a non farsi intrappolare in griglie precostituite, che teme e rifugge quanto il potere.
Lo si vede nelle altre opere, nelle quali i formati insoliti dettano composizioni con maggiori variazioni e concedono tonalità cromatiche più ampie. Utopie messe in gioco, che disgiungono falci da martelli o articolano in arabeschi e simboli i geroglifici della realtà e dell’immaginazione.
E così, tra incerte notizie di luce e il respiro della terra, Venturin ritrae il nostro e il suo passaggio, per il quale paghiamo al tempo un cospicuo pedaggio. Rimanendo però, nel nostro cammino, con un “piede fermo e l’altro su tutte le partenze”
Fabio Norcini, ottobre 2019
Samuele Venturin: CAMALEONTE – Tra panico e sbadigli – Pittura e musica
Studio Rosai, Firenze, dal 31/10 al 25/11